1. Le due anime, internazionalista e costituzionalista, della CEDU.
La CEDU è passata dall'esaltazione quale modello esemplare per la tutela internazionale dei diritti umani all'allarme per un suo rischio di implosione, sotto il peso di un insostenibile afflusso dei ricorsi individuali (specie quelli seriali) (1); introdotti con relativo successo i rimedi procedurali per ridurre quell'afflusso, ecco che la “salute” della CEDU viene nuovamente scossa dal rischio di un'uscita del Regno Unito (o quantomeno dell'abrogazione dello strumento di recepimento della Convenzione costituito dallo Human Rights Act del 1998) e dal fallimento dell'adesione dell'Unione europea alla CEDU, causato dal parere negativo della Corte di giustizia del 2014 (2). Dietro a questa ravvicinata serie di alti e bassi della CEDU, tanto sul piano internazionale (regionale) che su quello interno, stanno problemi di legittimazione politica del progetto varato dal Consiglio d'Europa nel 1950, problemi sui quali le trattazioni giuridiche tendono a sorvolare e che invece qui si vorrebbero provare a integrare in un discorso più profondo sui rapporti tra Corte EDU e ordinamenti nazionali, al fine di rimarcare l'esigenza di ancorare a presupposti politici la costruzione o il sostegno di dottrine “pratiche” sugli effetti interni delle sentenze della Corte EDU e/o sui suoi rapporti con le corti nazionali.
La Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) poggia su un accordo internazionale stipulato dagli Stati fondatori del Consiglio d'Europa alla fine del secondo conflitto mondiale con l'intento di instaurare una vigilanza reciproca sul rispetto dei diritti umani e...